QUAL VUOL GRAZIA E A TE NON RICORRE,
SUA DESIANZA VUOL VOLAR SANZ'ALI
(Dante Alighieri)

mercoledì 30 aprile 2008

CAPITOLO VI: Discussione teologica sulla "corredenzione"

La discussione teologica sulla cooperazione di Maria alla Redenzione viene fortemente stimolata dalle richieste per una definizione dogmatica della “mediazione universale” di Maria, partite dalla chiesa belga guidata dal suo primate, il Cardinale Désiré Mercier (1). Queste petizioni ebbero giunto ad un alto livello con l’approvazione pontificia della Messa su “Maria Mediatrice di tutte le grazie” (1921) per il Belgio e per tutte le altre chiese locali e comunità che desideravano questo formulario liturgico. Nel contesto della discussione teologica vigorosamente aumentata dopo il 1921, si accende anche un dibattito controverso sul titolo di “Corredentrice” e, per lo più, sulla portata esatta della cooperazione mariana. La prima monografia sulla corredenzione, quella del P. Godts del 1920, trova la simpatia del primate belga.
La prima fase della discussione è segnata dal riconoscimento o meno della cooperazione di Maria alla Redenzione, una cooperazione messa in dubbio da qualche teologo francese e tedesco (Jean Rivière, Bernhard Poschmann, Bernhard Bartmann il quale però fece una ritrattazione nel 1925, impressionato dal movimento di Mercier e dalla posizione di Pio XI) (2). Le difficoltà sono visibili nelle posizioni del Cardinale Billot SJ, molto influente nel Sant’Ufficio fino alla sua cacciata nel 1927, e in Maurice de la Taille SJ, professore alla Gregoriana (3). L’obiezione principale si manifesta nel riferimento a Gesù Cristo quale unico Redentore: la Redenzione deve essere considerata compiuta per Maria prima di ricevere la sua prima grazia. La Redenzione in quanto tale si svolge quindi senza l’attività di Maria. La risposta a questa difficoltà viene formulata dal gesuita August Deneffe in un articolo apparso sulla rivista “Gregorianum” nel 1927: nel sacrificio di Cristo si trovano assieme, ma logicamente distinte, due intenzioni. “Tramite la prima intenzione, Cristo diede l’intero frutto della Redenzione alla Beata Vergine Maria, la Donna e Nuova Eva, la sposa di Cristo, il tipo della Chiesa; poi, tramite la seconda intenzione, in unione alla volontà della Vergine, egli ottenne per noi la Redenzione” (4).
Da questa spiegazione è evidente che l’atto redentore, nella sua sostanza, è dovuta unicamente a Cristo. Nonostante ciò si valorizza il contributo unico di Maria nello svolgimento stesso della Redenzione. Si può fare qui un confronto con il peccato originale: il responsabile costituente fu Adamo e per questo i Padri parlano di un peccato “in Adamo”; nonostante ciò, l’esistenza stessa del peccato originale dipende dalla cooperazione di Eva. Il peccato di Eva non è parte essenziale, ma parte integrante della nostra rovina. Similmente si presenta la cooperazione di Maria, non come “parte essenziale” ma come “parte integrale” della nostra Redenzione (5).
Mentre nella prima fase della discussione è in gioco la cooperazione mariana globalmente, una seconda fase riguarda il ruolo particolare della presenza di Maria sotto la Croce. A partire dagli anni 30, Heinrich Lennerz SJ, professore di cristologia e mariologia alla Gregoriana, differenzia tra la cooperazione detta “remota” alla Redenzione, realizzata nel consenso di Maria all’Incarnazione, e la cooperazione “prossima” al sacrificio della Croce, negata a Maria dal mariologo tedesco. Lennerz applicò alla mediazione mariana anche i termini (di Scheeben) “redenzione oggettiva” e “soggettiva”: la mediazione di Maria riguarda unicamente la redenzione soggettiva (cioè la distribuzione dei frutti della Redenzione), ma in nessuna maniera la redenzione oggettiva (6). Siccome Maria è redenta, ella non può meritare in nessun modo, neanche col meritum de congruo, la Redenzione. Lennerz fu l’esponente principale della corrente detta “minimalista”.
La discussione seguente mise alla ribalta che la Redenzione comincia già all’Incarnazione. Così si vede ad esempio nella lettera agli Ebrei che fa iniziare il sacrificio redentore, quando il Verbo assume la natura umana (Eb 10,5-10). Il fatto che Maria mantiene il suo “sì” anche sotto la Croce è quindi una cooperazione vera e propria alla Redenzione. La posizione minimalista è superata sin dal Congresso Mariologico Internazionale di Lourdes del 1958, dove troviamo tra gli esponenti delle varie scuole una convinzione unanime che ci fosse una vera cooperazione immediata di Maria alla Redenzione oggettiva (7).
La corrente maggioritaria si presenta bene in Gabriele Maria Roschini († 1977), il più noto mariologo del sec. XX (8). "Corredenzione" è nient'altro che la cooperazione alla Redenzione:
"'Cooperare' significa unire la propria azione a quella di un altro, onde produrre, con lui, un'opera comune che è il risultato di due cause, distinte nel principio, ma associate nella loro attività e nell'effetto, termine della loro azione. L'opera alla quale la Vergine ha unito la sua azione a quella di Cristo è la Redenzione del genere umano.
Questa cooperazione può essere collaterale e indipendente (per esempio, due i quali tirano, ognuno con la propria forza, un carro) o subordinata (per esempio, due, uno dei quali agisce non già per forza propria, ma per forza ricevuta dall'altro)" (9).
La cooperazione all'Incarnazione con il fiat si estende sull'intero mistero di salvezza. Non è un contributo indipendente, ma subordinato e dipendente dall'azione di Cristo. Tuttavia si tratta di una cooperazione immediata di Maria alla redenzione oggettiva. Maria fu preredenta in vista dei meriti di Cristo. Con Cristo e subordinata a lui, offrì il suo Figlio all'Eterno Padre, specialmente sul Calvario, per la riconciliazione dell'umanità. Prima (in ordine logico) viene redenta Maria (preservata dal peccato originale), poi avviene la cooperazione di Maria: Redentore -> Maria -> tutti gli uomini redenti (e non: Redentore -> Chiesa, fra cui Maria).
Una posizione intermedia si trova in alcuni mariologi tedeschi della corrente ecclesiotipica. L’esponente principale è il pallottino Heinrich Maria Köster (+ 1993). Köster parte dall’idea dell’Alleanza tra Cristo e la Chiesa: Maria rappresenta la Chiesa sotto la Croce, in quanto ella accetta il sacrificio di Cristo. L’accettazione di Maria viene chiamata “corredenzione ricettiva” (10). Questa teoria ha il pregio di valorizzare la femminilità di Maria come tipo della Chiesa, ma non tiene conto sufficientemente del contributo attivo che non è soltanto una accettazione del sacrificio di Cristo, bensì un’offerta attiva rivolta al Padre, unendosi profondamente alla donazione espiatoria del suo Figlio.
Il Vaticano II non è utilizzabile dalla corrente minimalista perché i testi conciliari ribadiscono una cooperazione di Maria a tutta l’opera salvifica. Dall’Annunciazione alla Croce, Maria “ha cooperato in modo unico all’opera del Salvatore” (LG 61). Il Concilio, di fatto, insegna la dottrina della corredenzione, senza usare il termine per motivi ecumenici. Lo stesso vale, anche con il ricupero del vocabolario tradizionale, per l’insegnamento di Giovanni Paolo II. A differenza della corrente maggioritaria prima del Concilio, prevalentemente “cristotipica” (come ad esempio Roschini), la Lumen gentium e il magistero pontificio in seguito puntano più fortemente sull’aspetto “ecclesiotipico”, integrando così qualche elemento sano della posizione intermedia.



1) Cf. HAUKE, Mediatress of Grace (2004).
2) Cf. HAUKE, Mediatress of Grace, 31. 121s.
3) Ibd., 107-111.
4) A. DENEFFE, “De Mariae in ipso opere redemptionis cooperatione”: Gregorianum 8 (1927) 3-22, qui 19. Cf. HAUKE, Mediatress of Grace 124.
5) Cf. G. M. ROSCHINI, “Equivoci sulla Corredenzione”: Marianum 10 (1948) 277-282, qui 280s.
6) Cf. HAUKE, Roschini (2002) 591-597.
7) Cf. HAUKE, Roschini (2002) 596.
8) Cf. soprattutto G. M. ROSCHINI, Maria Santissima nella storia della salvezza II, Roma 1969, e il riassunto di PARROTTA, cap. 4.
9) ROSCHINI, op. cit., 120.
10) Cf. GHERARDINI (1998) 72s. 346s.

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